martedì 13 dicembre 2011

8° INCONTRO - 13 DICEMBRE 2011

"Francesco e i suoi Ra.Mi."


- vivere oggi la spiritualità francescana - 



(2° incontro sulla spiritualità francescana - un obiettivo chiaro, un progetto preciso, un'azione convinta ) 





Riprendendo le fila del discorso introduttivo, effettuato durante il precedente e primissimo incontro sul tema della spiritualità francescana, dobbiamo sottolineare che questo ciclo di incontri formativi cercherà di approfondire la vita e l'esperienza storico-religiosa di San Francesco seguendo un criterio cronologico, ma mai limitandosi ad un'esposizione biografica e quindi semplicemente narrativa della cosa stessa. L'obiettivo da raggiungere è quello di non cadere in un'ammirazione a rischio di sterilità, e cioè immersa in un atteggiamento superficiale che si accontenta dei meri fatti; in altre parole, cercheremo di illuminare alcuni aspetti centrali e di analizzare alcuni frammenti essenziali della vicenda di Francesco, al fine di poter comprendere l'attualità e quindi l'utilità esistenziale che il percorso di scelte e di risposte realizzato dall' amatisssimo Santo d'Assisi può avere ancora oggi nei nostri riguardi.
-Dall'uomo comune di nome Francesco al traguardo finale della sua Santità, all' “Alter Christus” che accolse e visse il mistero altissimo delle sue stimmati, il supremo e tenero sigillo dell'Amore e della Grazia di Cristo Gesù nei confronti del figlio divenuto così pienamente simile a Lui, e cioè divenuto Santo, divenuto così pienamente Uomo e conformatosi a Cristo Gesù (Santificazione = Umanizzazione = Christi conformatione: come spiegato nel precedente incontro).
Ebbene, Francesco è arrivato a tale risultato finale della sua Santità, ad essere il primo stimmatizzato della storia cristiana (il primo dei soli tre casi ufficialmente riconosciuti dalla Chiesa Cattolica fino ad ora!), non certo in un sol colpo, ma dopo aver percorso un'intera vita, dopo esser stato un ragazzo ed un giovane come molti altri, dopo essersi trovato di fronte a sollecitazioni, ad appuntamenti, a drammi notevoli, ad incroci in cui dover fare delle scelte e quindi contemporaneamente delle rinunce. Ricordiamocelo sempre: ogni volta che diciamo “si!” ad una cosa nella nostra vita, nello stesso tempo diciamo “no!” a molte altre cose!
Bisogna appassionarci alla totalità esistenziale di San Francesco, perchè tutto è stato per lui un qualcosa che ha condotto al traguardo finale; insomma, per prendere in toto San Francesco, bisogna andare a guardare come ha vissuto alcune esperienze determinanti, partendo in assoluto dalla sua gioventù e dal periodo storico particolare in cui nacque e santificò la sua vita. Francesco, come tutti noi, si è trovato in una data epoca storica e non ha scelto di venire alla luce così come ci è venuto, cioè si è trovato ad esistere nell'Assisi del XII sec. d.C. ma non lo ha scelto affatto; perciò, Francesco, seppur dall'alto della sua vicenda commovente e grande, non rappresenta affatto un'eccezione rispetto ad ogni altro essere umano, anche se ha terminato la sua vita terrena divenendo Santo.
Ricordiamocelo e teniamolo sempre a fuoco: ogni essere, ogni uomo, si trova ad esistere, cioè a vivere in condizioni determinate di tempo e di luogo ecc..., senza averlo scelto mai e poi mai!!! Ogni essere, ogni uomo, è una creatura, è unico ed irripetibile, ossia non è assolutamente un accidente nella storia, non è assolutamente un essere venuto dal caso e che sarebbe potuto anche non venire alla luce. Ogni essere, ogni uomo, è stato pensato da Dio, è stato consacrato a Lui stesso in un certo grembo materno, e gli è stata affidata una missione da compiere in un dato tempo che non sarà mai possibile conoscere preliminarmente, una missione da realizzare grazie agli specifici talenti ed alle capacità particolari di cui Dio Padre ha dotato ogni sua creatura. Ecco che possiamo avvicinarci al nocciolo, già accennato la scorsa volta, e cioè al fatto che Gesù Cristo incontra ogni essere umano nel tempo storico in cui quest'ultimo è stato chiamato a vivere, con i talenti ed i carismi ed i doni di cui quest'ultimo è stato equipaggiato, con il suo carattere e la sua personalità, ed è come se dicesse a quest'ultimo:
se vuoi e se mi obbedisci, questa è la tua missione...se seguirai la Mia Volontà, questi sono i talenti che potrai mettere a frutto...”: entra in campo l'importanza delle nostre scelte e delle nostre risposte!
Ebbene, Francesco per l'appunto non si è scelto affatto così come è nato e così come ha iniziato a vivere, ma si è trovato dentro un determinato tempo storico e non in un altro, dentro una determinata famiglia e non in un'altra, con un determinato aspetto fisico e non con un altro, dentro un determinato contesto sociale e non in un altro, con dei determinati amici e non con altri. Domandiamoci: come ci relazioniamo e reagiamo solitamente davanti alla situazione storico-sociale in cui ci troviamo a vivere?
Dobbiamo capire che Dio Padre ha lavorato con Francesco, fino a condurlo alle stimmati che precedettero la sua morte e furono il sigillo della sua Santità, partendo proprio dalle prime risposte e dalle prime reazioni che lo stesso giovane Francesco attuò rispetto alle sue connotazioni ed alle condizioni determinate in cui era stato creato. Venendo alla vicenda di Francesco, si sa comunemente che da ragazzo lui stesso nutriva fortemente l'ambizione, il suo obiettivo per eccellenza, di divenire nobile, cioè di acquisire uno status sociale elevato e condizioni di vita molto agiate; si sa, inoltre, che intraprese presto un progetto preciso tramite cui realizzare le sue ambizioni, ossia la partecipazione ad una spedizione militare che lo potesse far diventare un cavaliere e che quindi lo potesse far salire di rango.
Avere di fronte a sé un obiettivo da raggiungere e delineare pienamente un progetto di vita per cui sia possibile realizzare tale obiettivo: sono anzitutto questi due elementi che vanno messi a fuoco e sottolineati nell'operazione di approfondimento della vicenda storica francescana. Non è tanto il navigare in sé e per sé che può donare la pace e la felicità, quanto piuttosto la condizione per cui si naviga sapendo dove si vuole andare!!! Ebbene, Francesco prese ad un certo punto e partì al seguito di un capitano di ventura, diretto nelle terre dell'attuale Puglia, e pienamente convinto di voler lasciare la sua casa nativa e di volersi impegnare esclusivamente nelle battaglie a cui sarebbe stato destinato, cioè assolutamente convinto della scelta da fare e delle relative rinunce da accettare: il terzo elemento da mettere a fuoco anzitutto è proprio questa tendenza del giovane Francesco ad attivarsi con decisione e con convinzione, ad essere in movimento consapevolmente e coraggiosamente e senza compromessi: fin dall'inizio il giovane Francesco ci presenta un obiettivo chiaro, un progetto preciso, un'azione convinta!
Arrivato nei pressi di Spoleto, succede qualcosa per cui Francesco è portato ad arrestarsi ed a fare marcia indietro verso Assisi, ossia Francesco si trovò di fronte ad una scelta grandissima e dalla portata esistenziale, in quanto implicava in pieno la sua attività di combattente, il suo determinato progetto di vita ed il suo proprio obiettivo fondamentale. Dio gli venne in sonno e gli parlò con queste parole:"Se la tua scelta è quella di servire il Padrone, allora prendi la strada del ritorno e vai ad Assisi. Una volta che sarai tornato, lì io ti mostrerò cosa fare...". Insomma, Francesco decise di dare maggiore importanza al progetto di vita che Dio aveva in serbo per lui stesso, Francesco fece la sua primissima e travolgente esperienza di Dio e fece una scelta di assoluta fede, si incamminò verso Assisi dando priorità alla Volontà di Dio e non considerando affatto la possibilità di non venire compreso dalle opinioni altrui e quindi di venire giudicato e discriminato socialmente. Dobbiamo però sapere che le indicazioni di Dio, il "cosa fare", tardarono abbastanza ad arrivare, ossia si fecero molto attendere, tanto che Francesco arrivò a pensare che fosse il caso di ricercare sempre più costantemente il silenzio, e cioè le condizioni giuste per potersi accorgere effettivamente se Dio gli stesse parlando; e fu così che mosse verso i luoghi della sua nativa Assisi meno popolati e meno rumorosi, verso i luoghi in cui potesse essere più facile aprirsi alla contemplazione ed all'ascolto.
"Mosso dalla Spirito Santo, entrai dentro alla piccola chiesetta di San Damiano...": queste furono le parole illuminanti di Francesco, che riconobbe ciò che aveva esperito in maniera commovente e così grande durante il sogno rivelatorio presso Spoleto. Di nuovo compiendo un assoluto atto di fede, entrò ispirato dentro la chiesetta pericolante di San Damiano e si mise a pregare fervidamente, fino a quando il crocifisso non lo colpì di bontà e di gioia parlandogli come segue: "Francesco, non vedi che la mia casa sta crollando? Va' dunque e riparala...".
Ebbene, Francesco capì immediatamente di doversi adoperare per riparare il muro semi-distrutto che sosteneva la struttura della chiesetta di San Damiano, ossia non interpretò secondo complesse elaborazioni il messaggio straordinario che aveva ricevuto e non pensò di certo all'intera Chiesa od alla generalità dei fedeli cristiani, ma lo accolse in pieno così come gli era arrivato e senza discussioni. Possiamo, perciò, dire che è proprio questa accoglienza immediata, questa fede assoluta di Francesco nella Volontà divina, il frammento essenziale da riportare all'attualità, e ciò fin dalla mozione interiore che lo stesso Francesco esperì sentendosi portato ad entrare in una chiesetta come tante nei pressi di Assisi. Se Francesco non avesse aderito alla mozione dello Spirito Santo, se avesse messo davanti a tale chiamata altre occupazioni ed altre cose da fare, allora cosa sarebbe successo alla sua vita e quando avrebbe potuto sentire la voce divina, il "cosa fare"? Se, nella nostra vita odierna, sentiamo di essere mossi vivamente e profondamente verso qualcosa, allora accogliamo pienamente questa ispirazione e seguiamola, allora seguiamo Dio che ci sta parlando e lo Spirito Santo che ci muove verso la realizzazione della sua Volontà. Di certo, si potrebbe sollevare un dubbio: ma che senso può avere tutto ciò che si è appena detto e consigliato, nel momento in cui quello che la Volontà di Dio ci chiede è una semplice ed umile ristrutturazione muraria?
Rendiamoci conto che stiamo parlando di un frammento essenziale della vicenda francescana, il quale però si verificò prima della conversione, prima dell'incontro con il lebbroso (di cui parleremo durante il prossimo e terzo incontro di tale ciclo di formazione) e per giunta a ben due anni di distanza dalla primissima e travolgente esperienza di Dio che Francesco ebbe nei pressi di Spoleto. Anche il modo in cui iniziò a "ricostruire" la chiesa di San Damiano fu comunque significativa per lo "stile francescano" che si evidenzierà solo in seguito: Francesco iniziò a girare per Assisi, bussando casa per casa e chiedendo delle pietre che gli sarebbero servite nella ristrutturazione. Riuscì così a coinvolgere l'intera comunità assisana in quel progetto "divino". Francesco aveva quindi un muro da ricostruire, questa era la via che Dio aveva promesso di mostrargli non appena fosse ritornato ad Assisi: quali conseguenze ha scatenato nella vita di Francesco la sua scelta di accogliere in pieno la Volontà di Dio?

martedì 6 dicembre 2011

7° INCONTRO - 6 DICEMBRE 2011

"NOI siamo colloquio"


- L'Altro e la Comunicazione - 



(2° incontro del corso di formazione Ra.Mi.) 





 
In questo secondo appuntamento, la prima parte sarà tecnico-esplicativa e verterà sulla presentazione dei contenuti teorici necessari a stabilire la piattaforma comunicativa in cui dovremo muoverci in seguito,ossia l'oggetto proprio di ciò che affronteremo.

La comunicazione può assolutamente essere anche uno strumento!

Ognuno di noi sta con l'altro con ciò che ha in mano di proprio, con quello che esso stesso è nel momento presente ( che non è mai poco!!! ), e quindi non c'è un solo e giusto ed esatto modo di stare con l'altro; dunque, capire cosa sto dicendo, cosa sto comunicando a livello sia verbale che non verbale, è un qualcosa di decisivo ed importantissimo, ed è ciò che può rendere autentica, congruente ed efficace la relazione con l'altro. Quanto appena detto è ancora più cruciale nel caso in cui ci si rapporti con l'altro in condizioni di bisogno o di mancanza particolare di quest'ultimo, che possono caratterizzarsi come problematiche e/o disfunzioni psichiche o comportamentali o di vario genere differente.

Perché ci interfacciamo con l'Altro?

L'ultima volta ci eravamo lasciati con una fondamentale questione, quasi mastodontica per la portata esistenziale che può assumere, in cui si poneva la considerazione che, in certi casi, non si riesce proprio a dire il “no” di fronte a delle richieste dell'altro che si presentano abbastanza costantemente ed insistentemente ( un esempio può essere quello degli ambulanti stranieri o molto bisognosi ): che cosa c'è dietro di questa impossibilità relazionale nei confronti di un altro il quale si trova in evidenti condizioni di indigenza?
Potrebbe essere magari una parte nascosta di noi stessi ad aver bisogno di dire sempre il “si”, in quanto rivede nell'altro una sua latenza, una sua mancanza?
Ebbene, continuiamoci a domandare ininterrottamente:

Che cosa cerco nella relazione con l'altro?
In che modo mi pongo dentro la relazione con l'altro?

Nel caso delle esperienze ( lavorative e non ) a contatto con soggetti disabili, magari anche molto gravi e pluri-minorati, si ha davanti sempre una persona umana, ma spessissimo si hanno anche difficoltà molto forti nel riconoscere effettivamente la presenza di fronte a sé di un essere umano, cioè ad intravedere una corrispondenza con quello che è per noi il corrispettivo di umanità, poiché l'essere umano di norma ha delle funzionalità determinate ( pensiero, azione ecc..). Dunque, come mi interfaccio e come comunico con un essere umano che non rispecchia la normalità funzionale suddetta, che non si esprime facilmente e non si muove e non si relaziona nell'immediato così come noi stessi facciamo solitamente? E, ancora più alla radice, chi è tale essere umano che non rispecchia la cosiddetta normalità umana?

Immaginiamo un soggetto contemporaneamente cieco muto e sordo, immaginiamo un corpo che sia come uno scafandro, in cui può darsi che ci sia un essere che ha cognizione e che potenzialmente capisce: ma cosa capisce? e come si può fare a capire cosa esso stesso ha acquisito ed incamerato dalla relazione comunicativa con l'operatore in questione?
Si tratta di attuare un'interpretazione, molto ostica e difficoltosa, da parte dell'operatore o dell'educatore, di cercare di leggere ciò che in pratica appare come illeggibile, partendo anzitutto da un fattore comunicativo essenziale: il silenzio! (...a cui forse dovremo riabituarci...)
Il silenzio è l'origine pre-linguistica della parola, va considerato non meramente come assenza comunicativa ma come l'occasione per attuare una comunicazione più forte ed efficace:

il comunicare non coincide essenzialmente e solo con il parlare, con il livello verbale o della parola nuda e cruda!!!

Per riprendere dati già accennati la scorsa volta, è importante sapere che la nostra comunicazione è prevalentemente non verbale, ossia si attua per la maggior parte tramite la nostra postura, il nostro tono vocale, il nostro abbigliamento, la nostra volontaria dislocazione nello spazio, il nostro orientamento visivo; insomma, arriva molto di più e molto più intensamente quello che è il contenuto corporeo della nostra comunicazione piuttosto che le frasi che si stanno dicendo, ossia il tono con cui pronunciamo il nostro discorso, la postura con cui ci poniamo in relazione con l'altro, la gestualità con cui trasmettiamo il concetto inteso ecc...!!!

Cosa significa “congruenza comunicativa”?

Per dare dei riferimenti più precisi, dobbiamo dire che un movimento statunitense di ricercatori e di studiosi, cosiddetto “Scuola di Palo Alto” ( Paul Waszlavich ed altri... ), affermò che “la comunicazione è comportamento”; ancor di più, attorno agli anni '60 dello scorso secolo dalla stessa “Scuola di Palo Alto” vennero postulati cinque assiomi o regole fondamentali della comunicazione umana: comprenderli e consapevolizzarli potrà servire ad utilizzare in maniera più efficace e più strategica la nostra comunicazione con l'altro!!! (...come detto sopra: la comunicazione può assolutamente essere anche uno strumento! )
Il non verbale è in genere da noi conosciuto e contattato molto di meno rispetto al piano verbale delle nostre occasioni di comunicazione con un'altra persona; si potrebbe dire che ormai nel mondo d'oggi è davvero difficile parlare con una persona senza che ci sia un motivo specifico e strumentale per far ciò, senza che ci sia un contenuto determinato da dover comunicare, e cioè per il puro piacere di farlo, per il semplice gusto di contattare l'altra persona e di accoglierla e di ascoltarla. Oltretutto, oggi dovremmo dire onestamente che si è quasi del tutto disabituati al silenzio nell'altro, e forse questa realtà si riscontra anche nel contesto del volontariato, cioè si è poco avvezzi ad una mancanza prolungata di risposte e di feedback comunicativo nell'altro che si ha di fronte.
Ebbene, veniamo al dunque:

Prima Condizione della Comunicazione: Congruenza.

-La persona umana è “congrua” nel momento in cui dispone di tutti i suoi canali comunicativi ( verbali e non verbali ) allineati ed orientati verso il senso che si intende esprimere nella comunicazione-
Esempio: se, sul piano verbale, intendo comunicare il mio amore per l'altra persona, ma contemporaneamente, sul piano non verbale, mi pongo come fisicamente distante dall'altro, oppure non gli rivolgo mai lo sguardo, oppure impiego un tono della voce poco partecipe o non emotivamente acceso, ecco che il risultato è proprio una “comunicazione incongruente”.

Nel dialogo e nella comunicazione con un altro che si trova in una condizione, parlando in termini molto generici, di difficoltà o di disagio, quanto appena detto assume una rilevanza decisiva e cruciale, soprattutto nei casi in cui ci si trovi a relazionarsi con una persona psicotica, la quale è sì affetta da problematiche mentali magari anche molto gravi ma non è mai una persona stupida od inetta, cioè non è mai una persona che non ha la capacità di intendere cosa gli sta di fronte oppure come avvengono la relazione e la comunicazione con lei stessa.
Ricordiamoci che noi tendiamo ad entrare molto frequentemente ( se non quasi sempre ) nella relazione con l'altro, e soprattutto con l'altro in difficoltà od in stato di menomazione e di bisogno, impiegando dei pregiudizi, cioè facendoci portatori di giudizi che sono stati formulati prima di aver avuto una certa esperienza con l'altro.
Ebbene, ribadiamo l'importanza di capire che una persona psicotica ( per restare sull'esempio di cui sopra ) non è una persona stupida, ma è una persona che assolutamente può intuire la nostra eventuale incongruenza comunicativa ( vedi primo assioma della comunicazione: Congruenza ), pur nel mezzo di forti difficoltà sul piano cognitivo e/o relazionale. La persona con problemi mentali è un po' come un nervo scoperto gettato nel mondo circostante, magari con una sensibilità accentuatissima e straordinaria, ed è dunque quasi sempre in grado di comprendere pienamente se la persona che ha davanti gli sta comunicando qualcosa in maniera incongruente e quindi in maniera inautentica.
Certamente, può capitare di trovarsi a parlare con una persona psicotica adulta attivando una comunicazione praticamente bambinesca o comunque molto elementare, bypassando così molto di quello che concerne la sua dimensione esistenziale ed affettiva ed emozionale: in questi casi, dobbiamo sapere che il messaggio d'incongruenza arriva comunque al destinatario con problemi di psicosi e rimane chiaramente presso di lui, anche se quest'ultimo non può arrivare a compiere analisi di alto livello cognitivo od a fare considerazioni notevoli sulla verità e la falsità di ciò che sta ricevendo. Dobbiamo dire che stare attenti alla congruenza della nostra comunicazione potrebbe essere anche un'ottima metodologia per evitare di doversi confrontare con crisi comportamentali o magari anche con eccessi di aggressività e di violenza in chi ci sta di fronte ed è portatore di un disagio psichico di varia natura: la congruenza porta all'autenticità e quindi all'efficacia della comunicazione con l'altro, ed è il presupposto fondamentale della comunicazione umana, a maggior ragione quando si tratta di interfacciarsi con situazioni che sono decisamente altre da noi e che comportano oggettive difficoltà relazionali.
Per riprendere quanto accennato sul pregiudizio, possiamo affermare che pregiudicare non è necessariamente un fatto negativo, ma è in sé e per sé un'azione neutra, la quale addirittura ha avuto funzioni importantissime per l'evoluzione della specie umana ( pensiamo a quando, di fronte ad un pericolo, come una finestra aperta od un pozzo profondo, si effettua un pregiudizio, cioè si afferma che non ci si deve gettare da quella finestra poiché il risultato sarebbe letale per noi stessi, anche se l'esperienza del gettarsi non la si è ancora fatta ecc...).
Ognuno di noi si sofferma dinanzi alla soglia costituita dall'Altro con un pregiudizio, e questo è un presupposto esistenziale assolutamente valido per l'essere umano: è così, nel bene e nel male.
L'altro non è solo gioia, ma, prima di esser bellezza e ricchezza, è per noi paura, in quanto confronto con l'inatteso, con l'ignoto, con l'inesplorato, e costituisce un incontro trasformativo, poiché nel dialogo con l'Altro a nostra volta si diventa altri, cioè ci si evolve e si cambia e si contattano nuclei personali molto profondi e misteriosi, i quali attraggono ma allo stesso tempo fanno scaturire paura e timore.
Il pregiudizio esiste: dobbiamo cercare di accettarlo e di consapevolizzarlo e di capire cosa esso significhi e cosa esso stesso possa dire di noi stessi nel determinato momento in cui ci interfacciamo con l'Altro.
Diciamo questo perché, tornando al discorso di prima sulla relazione con persone pluri-minorate o comunque fortemente menomate, spesse volte si fa l'errore di attivarsi quasi freneticamente per riempire il “ritardo” della risposta e quindi il silenzio, poiché non si tollera il silenzio, poiché si concepisce superficialmente il silenzio come assenza comunicativa, poiché non si è abituati a vedere nel silenzio l'origine pre-linguistica della parola: questo è un errore perché si dimentica così di star parlando ad una persona la quale abita e sosta pienamente dentro di tale silenzio, cioè in una situazione che è fatta, per esempio, di emozioni che non hanno collocazione vocale o cognitiva. Per accogliere efficacemente tali emozioni e quindi pienamente l'altro che si ha di fronte, bisogna trovare la strada giusta, ed anzitutto bisogna impegnare il nostro tempo sapientemente, cioè facendo un forte e prolungato sforzo di osservazione e di attesa e di analisi preliminare e di ascolto delle condizioni in cui si trova la persona umana che si ha di fronte, una persona magari con un'importante deficit comunicativo e che vive immersa nel silenzio e che è molto distante dal livello verbale della comunicazione. E' importante, tremendamente importante, evitare il più possibile di confondere l'essere umano che si ha di fronte, soprattutto se gravemente disabile, con l'interpretazione soggettiva della stessa persona umana disabile che può sorgere da parte di chi, per varie ragioni, tende a non concedersi il tempo necessario per riuscire a compiere una comunicazione efficace con la persona con cui deve operare e che deve assistere in quanto educatore. Capita frequentemente, infatti, di interpretare a lungo movimenti od istanze comunicative di vario tipo della persona disabile come rispondenti ad un certo bisogno, che può essere la fame ecc..., mentre in realtà dovrebbero essere soddisfatti con tutt'altro: dobbiamo evitare di parlare troppo, o soltanto, di noi e davvero poco, se non nulla, della persona umana che si ha di fronte.
Nella comunicazione reale autentica con l'Altro un elemento più che fondamentale è il tempo, è il darsi tempo per contattare il nostro disagio e la nostra paura, è il darsi tempo per percepire le nostre emozioni sorgenti naturalmente di fronte ad un apparente vuoto comunicativo, di fronte a quello che erroneamente pregiudichiamo nell'altro, è il darsi tempo per rendersi conto di quella che è una nostra ansia tesa a voler riempire a tutti i costi i vuoti che non siamo abituati ad accogliere ed a comprendere. Se noi invece ci poniamo nella relazione in condizioni di calma e di attesa e di reale ascolto e di osservazione, magari diverrà possibile contattare nella persona che si ha di fronte un qualcosa mai prima percepito, ovvero che magari il suo non è un bisogno di mangiare o di bere ma un bisogno di attenzione dato dal fatto che lei stessa ha percepito, in quanto per esempio non-vedente, la nostra presenza al suo fianco in maniera diversa da come l'avremmo percepita noi stessi.
Ricordiamoci sempre che per una persona non-vedente lo spazio da abitare si costituisce come una rappresentazione mentale (qualora, per giunta, ci sia il piano cognitivo a supportare la persona ), che può farsi per la maggior parte sulla base di esperienze tattili od uditive spesse volte brevi o poco rilevanti: l'esperienza del mondo di una persona non-vedente, e magari con problemi cognitivi di un certo peso, è profondamente altra da quella che di norma un essere umano può avere.
Dobbiamo darci il tempo dell'osservazione a tutto tondo, non dobbiamo correre ed affrettarci, perché i risultati potrebbero così portare a svelare ed a scoprire ed a capire messaggi altrimenti oscuri, se non proprio impossibili da cogliere e quindi molto facilmente equivocabili.
Per accogliere realmente e pienamente l'altro possiamo fare solo un passaggio, che è quello di abituarsi a de-costruire le nostre certezze e ad abitare un linguaggio più autentico, sicuramente fatto di maggiore consapevolezza riguardo al piano non verbale della nostra relazione comunicativa, riguardo cioè al tono vocale, al ritmo, alla vicinanza corporea ecc...: questo è l'unico modo che si ha per compiere la conquista fondamentale di ogni relazione con un'altra persona in condizioni di bisogno, ossia l'affidamento fiduciario!
Solo una persona che ci percepisce come autentici nella comunicazione, che percepisce come rivolti verso lo stesso unico senso tutti i nostri vari canali comunicativi in atto, potrà fidarsi veramente di noi e quindi potrà affidarsi a noi stessi.
Qual è la parte di noi stessi da cui bisogna anzitutto partire per incontrare e per comunicare autenticamente ed efficacemente con l'Altro?
In questo campo, bisognerebbe guardare con più interesse al “bicchiere mezzo vuoto”, sempre! Ciò vale a dire che la nostra risorsa più grande è sempre la nostra difficoltà, la nostra paura, il nostro fiato corto, il nostro “non farcela”: questa è la piattaforma dell'incontro con l'Altro, sempre e solo questa e di natura esperienziale. Se io contatto quella che è la mia difficoltà e ci convivo, e la accolgo e non la respingo, avrò la possibilità di accogliere con più calma e serenità l'altra persona. Se io accolgo la mia paura sorgente che arriva quando incontro un'altra persona particolarmente disagiata, malformata, problematica, e se io ascolto con profondità questa mia paura sorgente, avrò più possibilità di costruire una piattaforma comunicativa con la persona, anche se fortemente disagiata; ciò perché il mio contattare ed il mio capire la difficoltà che sorge dentro di me stesso permette di mettermi nei panni dell'altro senza, però, immedesimarmi con lui stesso, cioè permette di realizzare l'empatia!!!
L'empatia non va intesa come l'immedesimazione, ma è il perfetto contrario ed è una risorsa strategica ( cfr. “Il problema dell'empatia”, di Edith Stein ), ossia non va concepita e realizzata in quanto “tuffo nel dolore dell'altro”, poiché così facendo ci si immedesima nell'altro e si finisce per non essergli utile in assoluto. C'è un gioco di giuste distanze e di confini propri, ossia si deve capire qual è la propria giusta distanza rispetto ad un altro al fine di confrontarsi in maniera consapevole con esso stesso, ed in quanto ognuno di noi ha un approccio al contatto, anzitutto corporeo, con l'altro che è differente da quello di tutti gli altri. Si tratta di un argomento importantissimo: la consapevolezza corporea, sia sul piano comunicativo che, più in generale, sul piano esistenziale.
Immaginiamoci sempre un ragazzo pluri-minorato: il suo esserci nel mondo è definito e sintomatizzato dal suo corpo, dalla sua pelle, che è il suo filtro primario con il mondo !!! Nel momento in cui si ha una consapevolezza corporea scarsa e quindi una scarsa consapevolezza comunicativa non verbale, si può difficilmente intuire cosa passa, non tanto per la mente, ma soprattutto per il corpo della persona disabile, cioè i suoi bisogni.

lunedì 28 novembre 2011

6° INCONTRO - 28 NOVEMBRE 2011


"Tra Acqua e Cielo"

In cento anni si succedono almeno cinque generazioni. La scienza progredisce. Si combattono guerre feroci. Muta il pensiero e mutano i paesaggi. Centro anni fa l'Amazzonia era una terra che gli europei conoscevano appena. Terra ancora indigena nonostante i quattro secoli di colonizzazione troppo spesso impietosa. Carichi di questa pesante eredità coloniale, sono arrivati in quattro. Era il 1909. Spinti da un ideale più forte della paura dell'ignoto. Si erano dati un compito: portare il Vangelo nel cuore della foresta. Quattro missionari italiani. Umbri, cappuccini della terra di san Francesco. Si chiamano: Agatangelo da Spoleto, Martino da Ceglie Messapico, Domenico da Gualdo Tadino, Ermenegildo da Foligno.





 

Un giorno domandai ad un frate Cappuccino di Assisi:


"Cosa avete fatto in cento anni in Amazzonia?"



Lui sorridendo mi rispose: "Siamo rimasti!..."





domenica 27 novembre 2011

Autumn Music By Ra.Mi. ONLUS


"Dai Ra.Mi. cadon le foglie,
mentre nasce il buon vino,
fra la musica e le castagne..."


DOMENICA 27 NOVEMBRE
in Piazza Mazzini a Bastia Umbra (via Garibaldi)
i Ra.Mi.ONLUS, in collaborazione con l'Associazione fotografica Contrasti, sono lieti di presentarvi

AUTUMN MUSIC
ottima musica che accompagnerà squisite prelibatezze: CASTAGNE, BRUSCHETTE CON OLIO NUOVO, VINO NOVELLO, DOLCI A VOLONTA'.

PROGRAMMA:
Ore 20.00 - Dj Cap/Franco B
(due dei migliori djs umbri ci intratterranno per la prima parte della serata con una loro selezione tutta autunnale)

Ore 22.00 - ChiMiDa sound acoustic live
"Sognammo talmente forte che ci uscì il sangue dal naso,
e, a forza di essere vento, la musica ci sedusse un pò alla
volta, come in un amore prudente e generoso.
Tutto cominciò con qualche mormorio fioco,
poi divenne balbuzie, e pian piano venne la
freschezza di un nostro linguaggio che, per
quanto elementare, non sarà mai poco."

I ChiMiDa sound suoneranno per noi una selezione di brani italiani e stranieri unplugged che hanno fatto la storia della musica pop.

Durante tutta la serata:
- artigianato e foto dall'Amazzonia
- autumn photo shoot a cura di Contrasti (Associazione Fotografica)



martedì 15 novembre 2011

5° INCONTRO - 15 NOVEMBRE 2011


"Francesco e i suoi Ra.Mi."


- vivere oggi la spiritualità francescana - 



(1° incontro sulla spiritualità francescana - Introduzione) 







Questo ciclo di appuntamenti avrà, sempre più chiaramente, il fine di attualizzare la vita di Francesco d'Assisi, cioè vorrà essere uno strumento di cui servirsi per evidenziare, con assoluta apertura al dialogo ed alla riflessione, quelle che potrebbero essere le possibilità di adottare nella nostra vita odierna le Sue Risposte e le Sue Scelte, le possibilità di "viver ancora oggi nel solco di Francesco".

Possiamo partire con un'introduzione che riguarderà il senso della preghiera iniziale, ossia chiedendoci: Perchè si è soliti iniziare un incontro pregando insieme? Ebbene, ciò ci dà subito l'opportunità di porci un'altra fondamentale domanda: Da cosa dipende la qualità esistenziale di ciascun essere umano?


Di primo acchito, potremmo facilmente rispondere che la qualità della vita di ciuascuno di noi dipende dallo stato di salute di cui possiamo godere in un determinato momento; forse, però, l'impeccabile condizione psico-fisica non è propriamente ciò che dà qualità all'esistenza umana. Ed allora le ricchezze, i beni materiali, il denaro? Forse, nemmeno tutto ciò si può evidenziare veramente come la ragione essenziale da cui può provenire un incremento oppure una diminuzione della qualità esistenziale dell'uomo. Ed, allora, cosa resta da rispondere? Ebbene, possiamo dare subito un'anticipazione: la qualità della vita umana dipende dalla condizione di libertà in cui ciascun individuo si trova.

Ma cosa significa, in questo caso, "condizione di libertà"? Si tratta della condizione in cui non si hanno "sbarre" di fronte a sé, cioè non si ha alcun tipo di impedimento o di costrizione o di ostacolo esterno? Di certo, una condizione esistenziale libera non equivale al fatto che non si vive all'interno di una prigione! Dobbiamo intendere che parlare così di libertà equivale a dire: possesso della Verità.

Ecco che, dopo aver detto che si è liberi nel momento in cui si possiede la Verità, possiamo tornare alla prima domanda introduttiva con questa risposta: la preghiera iniziale è un'invocazione dello Spirito Santo, affinché ci conduca, nella mente e nel corpo e nella coscienza e nello spirito, alla Verità che ci rende Liberi, quella Verità che è il Signore Nostro Gesù Cristo (...dal Vangelo: "Io sono la Via, la Verità, la Vita" ).

Dopo di ciò, possiamo entrare nel merito, partendo dal presupposto fondamentale di cui ciascun cristiano credente dovrebbe essere consapevole, cioè dall'atto religioso per cui un individuo può affermare: io sono una creatura di Dio, io vengo dalle Sue Mani.

Tale Atto di Fede si può considerare il momento della vita di Francesco in cui avvenne la svolta decisiva, la conversione al Cristianesimo, ossia l'origine del suo cammino verso la Santità; ma quale significato profondo deve avere per colui che lo professa? Credere di essere il frutto della creazione divina vuol dire che si crede di appartenere essenzialmente a Dio; ma cosa significa "appartenere a Dio"?

Venire dalle Mani di Dio significa che ogni creautra è fatta "ad immagine e somiglianza di Dio"! Ebbene, possiamo aiutarci nella comprensione di questo passaggio cruciale con un riferimento alle parole di S.Paolo: "Gesù Cristo è l'Immagine Visibile di Dio Padre, che è Invisibile (...)."

Dunque, se ciascun uomo, in quanto creatura, è ad immagine e somiglianza di Dio, e se Gesù Cristo è l'Immagine Visibile di Dio Padre che è invisibile, allora ciascuna creatura umana è immagine dell'Immagine visibile che è Gesù Cristo, ossia ciascun uomo, in quanto creato da Dio Padre a Sua immagine e somiglianza, è immagine di Gesù Cristo.

Dire tutto ciò ha, per il discorso che di seguito andremo a fare su S.Francesco d'Assisi, una valenza importantissima, poichè significa che c'è un'Immagine Prima, cioè un archetipo, che tende ad attrarre a sé tutto ciò che gli è immagine ( e questo è valido anche per legge fisica, cioè scientificamente ), ossia tende costantemente a far sì che ciò che gli è immagine si vada a conformare ad essa stessa: questa attrazione è ciò che Gesù Cristo, l'Immagine Prima, tende in ogni momento a fare nei confronti di ogni creatura umana. Perciò, tutti i desideri che abbiamo di Dio sono in noi stessi in quanto Dio ci ha creati a sua immagine e somiglianza, ossia costituiscono l'essenza della natura umana creata, e son quindi desideri naturali, cioè sollecitazioni che da sempre ci appartengono e che ci fanno tendere a Gesù Cristo, Immagine Prima di Dio: questa è una premessa fondamentale per intendere il cammino di Francesco, le sue scelte, le sue risposte, i suoi traguardi.

Da quanto appena detto, possiamo concludere che durante la nostra vita umana l'attrazione costante dell'Immagine Prima attiva un processo di progressiva conformazione che riguarda ciascun essere umano, in quanto creato ad immagine e somiglianza di Dio: noi diveniamo sempre più conformi a Gesù Cristo, finché non ci congiungiamo, come si suol dire, al nostro Creatore. Tale progressiva conformazione nell'arco dell'intera vita terrena all'Immagine Prima di Dio, che è Gesù Cristo, comporta che noi diveniamo sempre più somiglianti a Dio. Ecco che possiamo definire con più chiarezza, ora, l'affermazione secondo cui l'uomo è "ad immagine e somiglianza di Dio": “l'essere immagine" riguarda la natura umana creata da Dio, mentre "il divenire somigliante" riguarda il percorso di vita dell'uomo, con tutte le sue scelte.

Dunque, dobbiamo precisare che all'iniziativa creatrice di Dio deve seguire una risposta dell'uomo, la quale risposta alle sollecitazioni naturali verso Dio può favorire oppure sfavorire il suo divenire somigliante a Dio; ma quali sono queste risposte favorevoli o sfavorevoli al divenire somigliante di ciascun uomo?...( dal Vangelo: “Io sono la vite e voi i miei tralci...” )... Questa somiglianza in divenire, che ciascuna creatura può assecondare o non assecondare durante il percorso di vita che intraprende, si può chiamare in tre modi diversi, a seconda del punto di vista da cui la si osserva: Christi Conformatione, Santificazione, Umanizzazione!

Insomma, stiamo parlando della stessa identica cosa, sebbene a partire da piani di riferimento diversi: l'ambito generale della Dottrina della Chiesa Cattolica, l'ambito della Teologia Spirituale, l'ambito antropologico. In ogni caso, la cosa essenziale da sottolineare è che l'uomo è veramente uomo solo nel momento in cui asseconda e rispetta quella che è, nell'ottica cristiana fin qui adottata, la propria natura di creatura fatta ad immagine e somiglianza di Dio. Perciò, si possono spiegare il ben-essere così come il mal-essere proprio nei termini di un favorire e di uno sfavorire l'attrazione naturale che ciascun uomo ha verso Gesù Cristo, ossia l'Immagine Prima di Dio. Dobbiamo, allora, andare verso una chiarificazione del concetto di persona umana, che è tale in quanto costituita essenzialmente da corpo, anima, spirito;  perciò sussistono, per nostra natura creata, tre tipi di bisogni o di sollecitazioni o di stimoli, che sono quelli attinenti all'alimentazione del corpo, quelli relativi alla coltivazione delle relazioni sociali e delle attività culturali, e quelli relativi alla preghiera : non c'è nessuna delle tre parti costitutive che valga più dell'altra, o che possa essere sottovalutata e quindi nutrita e rispettata in maniera minore delle restanti. Il ben-essere dell'uomo, in quanto persona, passa necessariamente per la nutrizione piena e costante di tutti questi diversi tipi di sollecitazione naturale, cioè passa per la non deformazione della propria integrale natura di persona umana; e dovremmo quindi chiederci più spesso, di fronte all'eventuale mal-essere di un individuo:

ma tu hai pregato, hai rispettato il tuo spirito, oppure lo hai violentato, lo hai distrattamente offeso? Ti stai conformando pienamente a Cristo Gesù, stai divenendo pienamente uomo, ti stai “umanizzando”? Quali scelte stai compiendo lungo il percorso della tua vita? Ed a quali risposte ti sta portando questo tuo cammino?

Ecco che, con queste parole, ci iniziamo ad avvicinare alla storia di Francesco d'Assisi, agli snodi decisivi della sua vita, agli episodi che una persona di molti secoli fa, un ragazzo di giovane età, ha attraversato per fare esperienza concreta nella sua esistenza terrena della regola da cui discende il rispetto pieno ed integrale della propria natura umana: il Vangelo...

…e perché, allora, ancora oggi l'esperienza storica di San Francesco d'Assisi attrae moltissimi giovani e conduce a continue riflessioni su come interpretare, sulla scia del messaggio francescano risalente al XII sec. D. C., la propria esistenza di uomini del terzo millennio? 

martedì 8 novembre 2011

4° INCONTRO - 8 NOVEMBRE 2011


"NOI siamo colloquio"


- L'Altro e la Comunicazione - 



(1° incontro del corso di formazione Ra.Mi.) 





Partiamo anzitutto dall'analizzare il tema centrale ed essenziale, che è quello del perché, della motivazione: Perchè accade, o può accadere, che ci si rivolga all' "altro", che ci si spinga con sempre più forza a ciò che è "altro" in quanto vive un disagio che non è il mio, o in quanto porta una disabilità fisica o psichica che non è in me, o in quanto abita un territorio che non mi appartiene?

Possiamo rispondere che avviene un passaggio, estremamente personale e variabile, per cui, ad un certo punto della propria vita, si contattano alcune emozioni, spesso molto profonde e complesse da elaborare nell'immediato, cioè alcune cose di sé, le quali portano alla scelta di un percorso che conduce all'incontro dell'altro in un ruolo un pochettino asimmetrico: si diviene colui che aiuta l'altro, identificando quest'ultimo, più o meno in ogni caso, come avente un evidente bisogno di supporto e dell'altrui presenza a causa delle particolari difficoltà in cui si trova.
Insomma, accade che ci si trovi a dare, come si suol dire, una mano all'altro, ad intervenire nelle difficoltà dell'altro, e ciò ha dei significati che, in sostanza, si riconducono ai percorsi biografici di ciascuno, cioè ad un personalissimo affastellarsi di emozioni e di vissuti e di contatti, che peraltro son ciò da cui ognuno trae origine ed alimento in ogni determinato momento della vita. Ora, alla luce di quanto appena detto sulla radice biografica di tale tendenza all'altro, possiamo dire che si è portati a scegliere un percoso esistenziale di prossimità verso l'altro anche in quanto percorso che possa esser favorevole ed andare incontro a se stessi: per andare oltre la retorica, nell'aiutare l'altro ci si aiuta al contempo.
Ebbene, questa acquisizione comporta sicuramente effetti molto sani ed arricchenti; va detto, comunque, che alle sue spalle ha un processo che deve essere svolto e consapevolizzato con chiarezza e senza inutili lentezze. Infatti, nell'altro si possono trovare anche dei potenziali rischi o dei pericoli per noi stessi, ossia ci può essere l'oblio del sé, il finire per dimenticarsi di sé, da cui poi non può che conseguire la progressiva inefficacia del proprio rapporto con l'altro. In altre parole, è possibile che si arrivi ad una carenza, anche molto grave, di energie relazionali proprie, al cosiddetto "effetto bourn-out", il quale si caratteriza come una sorta di corto-circuito immateriale: nella grande fame di nutrire e di supportare l'altro, si finisce per scordare di nutrire e di alimentare il proprio stato energetico-cognitivo-emozionale.
Dopo di questo, possiamo entrare allora nel vivo domandandoci:
Chi è l'altro per me? Chi è l'altro in cui mi identifico emotivamente di più o di meno? e perchè mi accade tutto ciò?
Cerchiamo di iniziare subito con il prendere in discussione il tema molto amplio delle emozioni umane, le quali governano gran parte della nostra vita. Per fare un esempio molto generale, che traggo direttamente dal mio portato esperienziale, il mio lavoro a contatto diretto con persone portatrici di gravi dsabilità mi ha enormemente rieducato all'emotività, poichè loro stesse è come se vivessero nella condizione, per lo più, di un nervo scoperto nel mondo, con un'emotività fortissisma e molto presente, "a fior di pelle". Questo stato di vivacissima emotività, invece, tende generalmente ad essere abbastanza bloccato in condizioni cosiddette normali, per dare così priorità al ragionamento, per vivere soltanto "dalla testa in sù". Di fronte a ciò, mi piace spesse volte affermare che noi esseri umani siamo portatori sani di emozioni, le quali, peraltro, abbastanza unanimemente sono ritenute numericamente ridotte (da 6 a 8 tipi, a seconda delle correnti di pensiero ) ed ancor di più sono ritenute, da certe teorie moderne, assolutamente innate.
In breve, non sempre abbiamo bisogno della ragione per spiegare e comprendere, ma c'è il bisogno di accogliere le emozioni sorgenti e di contattarle e di riconoscerle: impariamo ad esplorare le nostre emozioni e quindi a contattare la propria potenzialità comunicativa! Piu o meno, infatti, parlando di come funziona in generale la comunicazione inter-soggettiva, molti studi hanno appurato che sostanzialmente il canale verbale (le parole, le frasi, le proposizioni che vengono adottate ecc...) copre soltanto il 30% del messaggio complessivo che giunge al destinatario, mentre il restante 70% viene coperto dai canali di comunicazione non-verbali, ossia dal tono della voce piuttosto che dalla gestualità piuttosto che dall'orientamento dello sguardo di chi comunica ecc...
Perché, dunque, bisogna educarsi alla comunicazione?
Possiamo dire che esistono molte attività, più o meno abituali, le quali si compiono in uno stato di pressoché nulla consapevolezza, così come accade, per esempio, quando saliamo le scale di casa senza sapere affatto quali muscoli, quali articolazioni ed ossa, sono implicate necessariamente in tale operazione. Ebbene, portarci al livello della matura consapevolezza, nel salire le scale come in tantissimi altri ambiti o contesti, può permetterci di rendere più efficace e più produttivo ciò che facciamo, può permetterci di avere a disposizione una serie più amplia di opzioni con cui diversificare la stesso medesimo tipo di operazione. Educarsi, quindi, a comunicare in maniera consapevole vuole far sì che ciò divenga uno strumento per se stessi e per l'altro, perché in questo modo possiamo educarci a capire cosa ci può accadere in un dato momento, le emozioni sorgenti che mi possono caratterizzare, il fatto che si può comunicare con forza ed intensità anche non verbalmente.
Essere consapevoli che si è portatori sani di un proprio senso che si cerca di rintracciare nel mondo e di trasmettere all'altro, che comunicare è “un fare” importantissimo, il quale attiva di necessità un mondo nell'altro; perciò, bisogna essere consapevoli delle parole utilizzate, del perché lo sto facendo per me stessa, della motivazione che alla radice mi muove verso l'altro.

domenica 6 novembre 2011

WEEK-END NAZIONALE Ra.Mi. - 4-6/11 Castello di San Gregorio / Assisi

"Se tutti vedessero..."



vedere il mondo con occhi diversi





Gesù guarisce un cieco dalla nascita
E passando vide un uomo ch’era cieco fin dalla nascita. E i suoi discepoli lo interrogarono, dicendo: Maestro, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco? Gesù rispose: Né lui peccò, né i suoi genitori; ma è così, affinché le opere di Dio siano manifestate in lui. Bisogna che io compia le opere di Colui che mi ha mandato, mentre è giorno; la notte viene in cui nessuno può operare. Mentre sono nel mondo, io sono la luce del mondo. Detto questo, sputò in terra, fece del fango con la saliva e ne spalmò gli occhi del cieco, e gli disse: Va’, làvati nella vasca di Siloe (che significa: mandato). Egli dunque andò e si lavò, e tornò che ci vedeva. Perciò i vicini e quelli che per l’innanzi l’avean veduto, perché era mendicante, dicevano: Non è egli quello che stava seduto a chieder l’elemosina? […] Da che mondo è mondo non s’è mai udito che uno abbia aperto gli occhi ad un cieco nato. Se quest’uomo non fosse da Dio, non potrebbe far nulla. Essi risposero e gli dissero: Tu sei tutto quanto nato nel peccato e insegni a noi? E lo cacciaron fuori. Gesù udì che l’avean cacciato fuori; e trovatolo gli disse: Credi tu nel Figliuol di Dio? Colui rispose: E chi è egli, Signore, perché io creda in lui? Gesù gli disse: Tu l’hai già veduto; e quei che parla teco, è lui. Ed egli disse: Signore, io credo. E gli si prostrò dinanzi. E Gesù disse: Io son venuto in questo mondo per fare un giudizio, affinché quelli che non vedono vedano, e quelli che vedono diventino ciechi. E quelli de’ Farisei che eran con lui udirono queste cose e gli dissero: Siamo ciechi anche noi? Gesù rispose loro: Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane. (Gv 9:1-41)



Il segreto della felicita'
*... Un mercante, una volta, mandò il figlio ad apprendere il segreto della felicità dal più saggio di tutti gli uomini. Il ragazzo vagò per quaranta giorni nel deserto, finché giunse a un meraviglioso castello in cima a una montagna. Là viveva il Saggio che il ragazzo cercava.
Invece di trovare un sant'uomo, però, il nostro eroe entrò in una sala dove regnava un'attività frenetica: mercanti che entravano e uscivano, ovunque gruppetti che parlavano, una orchestrina che suonava dolci melodie. E c'era una tavola imbandita con i più deliziosi piatti di quella regione del mondo. Il Saggio parlava con tutti, e il ragazzo dovette attendere due ore prima che arrivasse il suo turno per essere ricevuto.
Il Saggio ascoltò attentamente il motivo della visita, ma disse al ragazzo che in quel momento non aveva tempo per spiegargli il segreto della felicità. Gli suggerì di fare un giro per il palazzo e di tornare dopo due ore.
"Nel frattempo, voglio chiederti un favore", concluse il Saggio, consegnandogli un cucchiaino da tè su cui versò due gocce d'olio. "Mentre cammini, porta questo cucchiaino senza versare l'olio."
Il ragazzo cominciò a salire e scendere le scalinate del palazzo, sempre tenendo gli occhi fissi sul cucchiaino. In capo a due ore, ritornò al cospetto del Saggio.
Allora, gli domandò questi: "Hai visto gli arazzi della Persia che si trovano nella mia sala da pranzo? Hai visto i giardini che il Maestro dei Giardinieri ha impiegato dieci anni a creare? Hai notato le belle pergamene della mia biblioteca?" Il ragazzo, vergognandosi, confessò di non avere visto niente. La sua unica preoccupazione era stata quella di non versare le gocce d'olio che il Saggio gli aveva affidato.
"Ebbene, allora torna indietro e guarda le meraviglie del mio mondo", disse il Saggio. "Non puoi fidarti di un uomo se non conosci la sua casa."
Tranquillizzato, il ragazzo prese il cucchiaino e di nuovo si mise a passeggiare per il palazzo, questa volta osservando tutte le opere d'arte appese al soffitto e alle pareti. Notò i giardini, le montagne circostanti, la delicatezza dei fiori, la raffinatezza con cui ogni opera d'arte disposta al proprio posto. Di ritorno al cospetto del Saggio, riferì particolareggiatamente su tutto quello che aveva visto.
"Ma dove sono le due gocce d'olio che ti ho affidato?" domandò il Saggio.
Guardando il cucchiaino, il ragazzo si accorse di averle versate.
"Ebbene, questo è l'unico consiglio che ho da darti", concluse il più Saggio dei saggi.
"Il segreto della felicità consiste nel guardare tutte le meraviglie del mondo senza dimenticare le due gocce d'olio nel cucchiaino."* (tratto dall'Alchimista di P.Coelho)



Il Cantico delle Creature

Altissimu, onnipotente bon Signore,
Tue so' le laude, la gloria e l'honore et onne benedictione.
Ad Te solo, Altissimo, se konfano,
et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi' Signore cum tucte le Tue creature,
petialmente messor lo frate Sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de Te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si', mi Signore, per sora Luna e le stelle:
in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si', mi' Signore, per frate Vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale, a le Tue creature dài sustentamento.
Laudato si', mi' Signore, per sor Aqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si', mi Signore, per frate Focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre Terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.
Laudato si', mi Signore, per quelli che perdonano per lo Tuo amore
et sostengono infirmitate et tribulatione.
Beati quelli ke 'l sosterranno in pace,
ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si' mi Signore, per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente po' skappare:
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no 'l farrà male.
Laudate et benedicete mi Signore et rengratiate
e serviateli cum grande humilitate
.



L'UCCELLINO ROSSO GIALLO NERO BLU
"C'erano mattine in cui l'uccellino si svegliava e vedeva accanto a sé l'occhietto nero della mamma che lo guardava con ammirazione.
- Tu che sei
così coraggioso - gli sussurrava - esci per primo dal nido, e torna a dirci se c'è in giro il falco.
- Ma perché proprio io? - chiedeva l'uccellino. - Perché sei un uccellino senza paura - diceva la mamma. Allora lui si levava dal caldo del nido, gonfiava le piume e si gettava tra gli alberi per il bosco ancora silenzioso. Si sentiva così coraggioso, che nessun falco avrebbe osato puntarlo.
Ma altre mattine, appena svegliato, avvertiva su di sé l'occhio trepido della mamma. - Sei il mio bel pulcino - gli diceva coprendolo con un'ala - e hai ancora bisogno di dormire': sei il mio piccolo pulcino appena uscito dall'uovo. E subito l'uccellino si sentiva invaso da una sonnolenza da neonato, si stringeva alla mamma e non lasciava il nido. Poi c'erano mattine in cui la mamma lo guardava quasi con terrore: non gli parlava neppure direttamente. - Martin - sussurrava al papa dell'uccellino. - Dì, Martin, non ti fa paura? Tra tutti i nostri figli questo qui ha qualcosa... Guardalo, non pare anche a te? - Eh... - diceva il papa, dandogli un'occhiata perplessa. Allora l'uccellino si rizzava di scatto, e il suo becco, quasi senza ch'egli lo volesse, si abbatteva sui fratelli, facendoli strillare e cadere dall'albero.
Una grande rabbia gli rodeva il petto, un odio furibondo contro chiunque occupasse il nido.
Ma c'erano anche risvegli bellissimi, quando non isolo gli occhi della mamma, del papa, dei fratelli, erano fissi amorosamente su di lui, ma lo guardavano le formiche, i tassi, certo anche le aquile dai loro picchi, e tutti mormoravano: - Sembri un uccellino fatto di cielo.
E così si sentiva: buono, aereo, leggero, in pace con tutti. Si ravviava le piume, chinava la testa di lato, usciva dal bosco e andava a volare sui prati, dove c'era più sole.
Gli sembrava di non avere mai abbastanza luce.
L'uccellino faceva il bagno alla sera. Quando cominciava a fare buio, e la giornata era finita, andava a bagnarsi in riva a un fiume dalle acque scure per l'ora. Dal fitto d'erba, una colomba bianca lo guardava. Sempre tenera, tranquilla; non cambiava mai.
- Perché non fai il bagno anche tu? - le chiese una sera l'uccellino. - No - disse la colomba - di notte non sai mai di che colore sia l'acqua.
- Perché, cambia di colore? - A monte c'è una tintoria, lo sai, e un giorno l'acqua del fiume diventa rossa, un altro gialla, o nera, o blu. L'uccellino aveva un cervello piccolo piccolo, per lasciar posto agli occhi tondi e al becco largo, pure capì improvvisamente molte cose: certe mattine anche lui si svegliava tinto di rosso, altre di giallo, o di nero, o di azzurro, e così appariva agli occhi degli altri: rosso come il coraggio, giallo come un pulcino tenero, nero come un corvo cattivo, azzurro come un uccellino di cielo. E come lo vedevano gli altri, così si sentiva.
«D'ora in poi sarò sempre del mio colore» si ripropose.
Così, nelle mattine chiare, l'uccellino ora vola al fiume, ma in alto, sopra la tintoria, dove l'acqua è trasparente come l'acqua. Ne esce pulito, grigio, come tanti altri uccellini. E quando torna al nido la mamma gli dice: - Oh, ecco il mio caro uccellino grigio. E lui si sente sempre così, per sé e per tutti: un piccolo uccellino grigio.

CAPITOLO OTTAVO. Come andando per cammino santo Francesco e frate Leone, gli spuose quelle cose che sono perfetta letizia.
  Venendo una volta santo Francesco da Perugia a Santa Maria degli Angioli con frate Lione a tempo di verno, e 'l freddo grandissimo fortemente il crucciava, chiamò frate Lione il quale andava innanzi, e disse così: “Frate Lione, avvegnadioché li frati Minori in ogni terra dieno grande esempio di santità e di buona edificazione nientedimeno scrivi e nota diligentemente che non è quivi perfetta letizia”. E andando più oltre santo Francesco, il chiamò la seconda volta: “O frate Lione, benché il frate Minore allumini li ciechi e distenda gli attratti, iscacci le dimonia, renda l'udir alli sordi e l'andare alli zoppi, il parlare alli mutoli e, ch'è maggior cosa, risusciti li morti di quattro dì; iscrivi che non è in ciò perfetta letizia”. E andando un poco, santo Francesco grida forte: “O frate Lione, se 'l frate Minore sapesse tutte le lingue e tutte le scienze e tutte le scritture, sì che sapesse profetare e rivelare, non solamente le cose future, ma eziandio li segreti delle coscienze e delli uomini; iscrivi che non è in ciò perfetta letizia”. Andando un poco più oltre, santo Francesco chiamava ancora forte: “O frate Lione, pecorella di Dio, benché il frate Minore parli con lingua d'Agnolo, e sappia i corsi delle istelle e le virtù delle erbe, e fussongli rivelati tutti li tesori della terra, e conoscesse le virtù degli uccelli e de' pesci e di tutti gli animali e delle pietre e delle acque; iscrivi che non è in ciò perfetta letizia”. E andando ancora un pezzo, santo Francesco chiamò forte: “O frate Lione, benché 'l frate Minore sapesse sì bene predicare che convertisse tutti gl'infedeli alla fede di Cristo; iscrivi che non è ivi perfetta letizia”.
E durando questo modo di parlare bene di due miglia, frate Lione, con grande ammirazione il domandò e disse: “Padre, io ti priego dalla parte di Dio che tu mi dica dove è perfetta letizia”. E santo Francesco sì gli rispuose: “Quando noi saremo a santa Maria degli Agnoli, così bagnati per la piova e agghiacciati per lo freddo e infangati di loto e afflitti di fame, e picchieremo la porta dello luogo, e 'l portinaio verrà adirato e dirà: Chi siete voi? e noi diremo: Noi siamo due de' vostri frati; e colui dirà: Voi non dite vero, anzi siete due ribaldi ch'andate ingannando il mondo e rubando le limosine de' poveri; andate via; e non ci aprirà, e faracci stare di fuori alla neve e all'acqua, col freddo e colla fame infino alla notte; allora se noi tanta ingiuria e tanta crudeltà e tanti commiati sosterremo pazientemente sanza turbarcene e sanza mormorare di lui, e penseremo umilmente che quello portinaio veramente ci conosca, che Iddio il fa parlare contra a noi; o frate Lione, iscrivi che qui è perfetta letizia. E se anzi perseverassimo picchiando, ed egli uscirà fuori turbato, e come gaglioffi importuni ci caccerà con villanie e con gotate dicendo: Partitevi quinci, ladroncelli vilissimi, andate allo spedale, ché qui non mangerete voi, né albergherete; se noi questo sosterremo pazientemente e con allegrezza e con buono amore; o frate Lione, iscrivi che quivi è perfetta letizia. E se noi pur costretti dalla fame e dal freddo e dalla notte più picchieremo e chiameremo e pregheremo per l'amore di Dio con grande pianto che ci apra e mettaci pure dentro, e quelli più scandolezzato dirà: Costoro sono gaglioffi importuni, io li pagherò bene come son degni; e uscirà fuori con uno bastone nocchieruto, e piglieracci per lo cappuccio e gitteracci in terra e involgeracci nella neve e batteracci a nodo a nodo con quello bastone: se noi tutte queste cose sosterremo pazientemente e con allegrezza, pensando le pene di Cristo benedetto, le quali dobbiamo sostenere per suo amore; o frate Lione, iscrivi che qui e in questo è perfetta letizia. E però odi la conclusione, frate Lione. Sopra tutte le grazie e doni dello Spirito Santo, le quali Cristo concede agli amici suoi, si è di vincere se medesimo e volentieri per lo amore di Cristo sostenere pene, ingiurie e obbrobri e disagi; imperò che in tutti gli altri doni di Dio noi non ci possiamo gloriare, però che non sono nostri, ma di Dio, onde dice l'Apostolo: Che hai tu, che tu non abbi da Dio? e se tu l'hai avuto da lui perché te ne glorii come se tu l'avessi da te? Ma nella croce della tribolazione e dell'afflizione ci possiamo gloriare, però che dice l'Apostolo: Io non mi voglio gloriare se non nella croce del nostro Signore Gesù Cristo”.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen
SE TUTTI VEDESSERO
Ho visto, anche se non c'erano
viste a cui aggrapprarsi, ed
ho visto oltre la fortuna di
qualche attimo in cui sfogarsi.
Ho visto il bisogno, un pò inaspettato,
di non avere occhi accesi sul mondo,
per esser meno spenti di fronte all'altro e
più vicini alla luce nascosta dalle
abitudini del giorno.
Intanto, l'albero è cresciuto, mentre
uccellini venivano e vedevano, per
imparare a cantare come nessun altro nel cielo,
per cercare l'originalità di un proprio unico ramo.
Alla fine, non ho visto mai direttamente il
cammino dell'albero, non l'ho visto
distrattamente crescere, ma l'ho accompagnato con
altri occhi, e durante le notti, in cui credevo di non
aver nulla da vedere, la sua chioma mi ha
sempre sorpreso con un arcobaleno di raggi.
Alla fine, non ho visto mai la crescita
millimetrica dell'abero così come due palpebre
aperte posson fare, ma ho cercato di
coltivarlo e ci son cresciuto insieme.
 Alessio Ortica