lunedì 28 novembre 2011

6° INCONTRO - 28 NOVEMBRE 2011


"Tra Acqua e Cielo"

In cento anni si succedono almeno cinque generazioni. La scienza progredisce. Si combattono guerre feroci. Muta il pensiero e mutano i paesaggi. Centro anni fa l'Amazzonia era una terra che gli europei conoscevano appena. Terra ancora indigena nonostante i quattro secoli di colonizzazione troppo spesso impietosa. Carichi di questa pesante eredità coloniale, sono arrivati in quattro. Era il 1909. Spinti da un ideale più forte della paura dell'ignoto. Si erano dati un compito: portare il Vangelo nel cuore della foresta. Quattro missionari italiani. Umbri, cappuccini della terra di san Francesco. Si chiamano: Agatangelo da Spoleto, Martino da Ceglie Messapico, Domenico da Gualdo Tadino, Ermenegildo da Foligno.





 

Un giorno domandai ad un frate Cappuccino di Assisi:


"Cosa avete fatto in cento anni in Amazzonia?"



Lui sorridendo mi rispose: "Siamo rimasti!..."





domenica 27 novembre 2011

Autumn Music By Ra.Mi. ONLUS


"Dai Ra.Mi. cadon le foglie,
mentre nasce il buon vino,
fra la musica e le castagne..."


DOMENICA 27 NOVEMBRE
in Piazza Mazzini a Bastia Umbra (via Garibaldi)
i Ra.Mi.ONLUS, in collaborazione con l'Associazione fotografica Contrasti, sono lieti di presentarvi

AUTUMN MUSIC
ottima musica che accompagnerà squisite prelibatezze: CASTAGNE, BRUSCHETTE CON OLIO NUOVO, VINO NOVELLO, DOLCI A VOLONTA'.

PROGRAMMA:
Ore 20.00 - Dj Cap/Franco B
(due dei migliori djs umbri ci intratterranno per la prima parte della serata con una loro selezione tutta autunnale)

Ore 22.00 - ChiMiDa sound acoustic live
"Sognammo talmente forte che ci uscì il sangue dal naso,
e, a forza di essere vento, la musica ci sedusse un pò alla
volta, come in un amore prudente e generoso.
Tutto cominciò con qualche mormorio fioco,
poi divenne balbuzie, e pian piano venne la
freschezza di un nostro linguaggio che, per
quanto elementare, non sarà mai poco."

I ChiMiDa sound suoneranno per noi una selezione di brani italiani e stranieri unplugged che hanno fatto la storia della musica pop.

Durante tutta la serata:
- artigianato e foto dall'Amazzonia
- autumn photo shoot a cura di Contrasti (Associazione Fotografica)



martedì 15 novembre 2011

5° INCONTRO - 15 NOVEMBRE 2011


"Francesco e i suoi Ra.Mi."


- vivere oggi la spiritualità francescana - 



(1° incontro sulla spiritualità francescana - Introduzione) 







Questo ciclo di appuntamenti avrà, sempre più chiaramente, il fine di attualizzare la vita di Francesco d'Assisi, cioè vorrà essere uno strumento di cui servirsi per evidenziare, con assoluta apertura al dialogo ed alla riflessione, quelle che potrebbero essere le possibilità di adottare nella nostra vita odierna le Sue Risposte e le Sue Scelte, le possibilità di "viver ancora oggi nel solco di Francesco".

Possiamo partire con un'introduzione che riguarderà il senso della preghiera iniziale, ossia chiedendoci: Perchè si è soliti iniziare un incontro pregando insieme? Ebbene, ciò ci dà subito l'opportunità di porci un'altra fondamentale domanda: Da cosa dipende la qualità esistenziale di ciascun essere umano?


Di primo acchito, potremmo facilmente rispondere che la qualità della vita di ciuascuno di noi dipende dallo stato di salute di cui possiamo godere in un determinato momento; forse, però, l'impeccabile condizione psico-fisica non è propriamente ciò che dà qualità all'esistenza umana. Ed allora le ricchezze, i beni materiali, il denaro? Forse, nemmeno tutto ciò si può evidenziare veramente come la ragione essenziale da cui può provenire un incremento oppure una diminuzione della qualità esistenziale dell'uomo. Ed, allora, cosa resta da rispondere? Ebbene, possiamo dare subito un'anticipazione: la qualità della vita umana dipende dalla condizione di libertà in cui ciascun individuo si trova.

Ma cosa significa, in questo caso, "condizione di libertà"? Si tratta della condizione in cui non si hanno "sbarre" di fronte a sé, cioè non si ha alcun tipo di impedimento o di costrizione o di ostacolo esterno? Di certo, una condizione esistenziale libera non equivale al fatto che non si vive all'interno di una prigione! Dobbiamo intendere che parlare così di libertà equivale a dire: possesso della Verità.

Ecco che, dopo aver detto che si è liberi nel momento in cui si possiede la Verità, possiamo tornare alla prima domanda introduttiva con questa risposta: la preghiera iniziale è un'invocazione dello Spirito Santo, affinché ci conduca, nella mente e nel corpo e nella coscienza e nello spirito, alla Verità che ci rende Liberi, quella Verità che è il Signore Nostro Gesù Cristo (...dal Vangelo: "Io sono la Via, la Verità, la Vita" ).

Dopo di ciò, possiamo entrare nel merito, partendo dal presupposto fondamentale di cui ciascun cristiano credente dovrebbe essere consapevole, cioè dall'atto religioso per cui un individuo può affermare: io sono una creatura di Dio, io vengo dalle Sue Mani.

Tale Atto di Fede si può considerare il momento della vita di Francesco in cui avvenne la svolta decisiva, la conversione al Cristianesimo, ossia l'origine del suo cammino verso la Santità; ma quale significato profondo deve avere per colui che lo professa? Credere di essere il frutto della creazione divina vuol dire che si crede di appartenere essenzialmente a Dio; ma cosa significa "appartenere a Dio"?

Venire dalle Mani di Dio significa che ogni creautra è fatta "ad immagine e somiglianza di Dio"! Ebbene, possiamo aiutarci nella comprensione di questo passaggio cruciale con un riferimento alle parole di S.Paolo: "Gesù Cristo è l'Immagine Visibile di Dio Padre, che è Invisibile (...)."

Dunque, se ciascun uomo, in quanto creatura, è ad immagine e somiglianza di Dio, e se Gesù Cristo è l'Immagine Visibile di Dio Padre che è invisibile, allora ciascuna creatura umana è immagine dell'Immagine visibile che è Gesù Cristo, ossia ciascun uomo, in quanto creato da Dio Padre a Sua immagine e somiglianza, è immagine di Gesù Cristo.

Dire tutto ciò ha, per il discorso che di seguito andremo a fare su S.Francesco d'Assisi, una valenza importantissima, poichè significa che c'è un'Immagine Prima, cioè un archetipo, che tende ad attrarre a sé tutto ciò che gli è immagine ( e questo è valido anche per legge fisica, cioè scientificamente ), ossia tende costantemente a far sì che ciò che gli è immagine si vada a conformare ad essa stessa: questa attrazione è ciò che Gesù Cristo, l'Immagine Prima, tende in ogni momento a fare nei confronti di ogni creatura umana. Perciò, tutti i desideri che abbiamo di Dio sono in noi stessi in quanto Dio ci ha creati a sua immagine e somiglianza, ossia costituiscono l'essenza della natura umana creata, e son quindi desideri naturali, cioè sollecitazioni che da sempre ci appartengono e che ci fanno tendere a Gesù Cristo, Immagine Prima di Dio: questa è una premessa fondamentale per intendere il cammino di Francesco, le sue scelte, le sue risposte, i suoi traguardi.

Da quanto appena detto, possiamo concludere che durante la nostra vita umana l'attrazione costante dell'Immagine Prima attiva un processo di progressiva conformazione che riguarda ciascun essere umano, in quanto creato ad immagine e somiglianza di Dio: noi diveniamo sempre più conformi a Gesù Cristo, finché non ci congiungiamo, come si suol dire, al nostro Creatore. Tale progressiva conformazione nell'arco dell'intera vita terrena all'Immagine Prima di Dio, che è Gesù Cristo, comporta che noi diveniamo sempre più somiglianti a Dio. Ecco che possiamo definire con più chiarezza, ora, l'affermazione secondo cui l'uomo è "ad immagine e somiglianza di Dio": “l'essere immagine" riguarda la natura umana creata da Dio, mentre "il divenire somigliante" riguarda il percorso di vita dell'uomo, con tutte le sue scelte.

Dunque, dobbiamo precisare che all'iniziativa creatrice di Dio deve seguire una risposta dell'uomo, la quale risposta alle sollecitazioni naturali verso Dio può favorire oppure sfavorire il suo divenire somigliante a Dio; ma quali sono queste risposte favorevoli o sfavorevoli al divenire somigliante di ciascun uomo?...( dal Vangelo: “Io sono la vite e voi i miei tralci...” )... Questa somiglianza in divenire, che ciascuna creatura può assecondare o non assecondare durante il percorso di vita che intraprende, si può chiamare in tre modi diversi, a seconda del punto di vista da cui la si osserva: Christi Conformatione, Santificazione, Umanizzazione!

Insomma, stiamo parlando della stessa identica cosa, sebbene a partire da piani di riferimento diversi: l'ambito generale della Dottrina della Chiesa Cattolica, l'ambito della Teologia Spirituale, l'ambito antropologico. In ogni caso, la cosa essenziale da sottolineare è che l'uomo è veramente uomo solo nel momento in cui asseconda e rispetta quella che è, nell'ottica cristiana fin qui adottata, la propria natura di creatura fatta ad immagine e somiglianza di Dio. Perciò, si possono spiegare il ben-essere così come il mal-essere proprio nei termini di un favorire e di uno sfavorire l'attrazione naturale che ciascun uomo ha verso Gesù Cristo, ossia l'Immagine Prima di Dio. Dobbiamo, allora, andare verso una chiarificazione del concetto di persona umana, che è tale in quanto costituita essenzialmente da corpo, anima, spirito;  perciò sussistono, per nostra natura creata, tre tipi di bisogni o di sollecitazioni o di stimoli, che sono quelli attinenti all'alimentazione del corpo, quelli relativi alla coltivazione delle relazioni sociali e delle attività culturali, e quelli relativi alla preghiera : non c'è nessuna delle tre parti costitutive che valga più dell'altra, o che possa essere sottovalutata e quindi nutrita e rispettata in maniera minore delle restanti. Il ben-essere dell'uomo, in quanto persona, passa necessariamente per la nutrizione piena e costante di tutti questi diversi tipi di sollecitazione naturale, cioè passa per la non deformazione della propria integrale natura di persona umana; e dovremmo quindi chiederci più spesso, di fronte all'eventuale mal-essere di un individuo:

ma tu hai pregato, hai rispettato il tuo spirito, oppure lo hai violentato, lo hai distrattamente offeso? Ti stai conformando pienamente a Cristo Gesù, stai divenendo pienamente uomo, ti stai “umanizzando”? Quali scelte stai compiendo lungo il percorso della tua vita? Ed a quali risposte ti sta portando questo tuo cammino?

Ecco che, con queste parole, ci iniziamo ad avvicinare alla storia di Francesco d'Assisi, agli snodi decisivi della sua vita, agli episodi che una persona di molti secoli fa, un ragazzo di giovane età, ha attraversato per fare esperienza concreta nella sua esistenza terrena della regola da cui discende il rispetto pieno ed integrale della propria natura umana: il Vangelo...

…e perché, allora, ancora oggi l'esperienza storica di San Francesco d'Assisi attrae moltissimi giovani e conduce a continue riflessioni su come interpretare, sulla scia del messaggio francescano risalente al XII sec. D. C., la propria esistenza di uomini del terzo millennio? 

martedì 8 novembre 2011

4° INCONTRO - 8 NOVEMBRE 2011


"NOI siamo colloquio"


- L'Altro e la Comunicazione - 



(1° incontro del corso di formazione Ra.Mi.) 





Partiamo anzitutto dall'analizzare il tema centrale ed essenziale, che è quello del perché, della motivazione: Perchè accade, o può accadere, che ci si rivolga all' "altro", che ci si spinga con sempre più forza a ciò che è "altro" in quanto vive un disagio che non è il mio, o in quanto porta una disabilità fisica o psichica che non è in me, o in quanto abita un territorio che non mi appartiene?

Possiamo rispondere che avviene un passaggio, estremamente personale e variabile, per cui, ad un certo punto della propria vita, si contattano alcune emozioni, spesso molto profonde e complesse da elaborare nell'immediato, cioè alcune cose di sé, le quali portano alla scelta di un percorso che conduce all'incontro dell'altro in un ruolo un pochettino asimmetrico: si diviene colui che aiuta l'altro, identificando quest'ultimo, più o meno in ogni caso, come avente un evidente bisogno di supporto e dell'altrui presenza a causa delle particolari difficoltà in cui si trova.
Insomma, accade che ci si trovi a dare, come si suol dire, una mano all'altro, ad intervenire nelle difficoltà dell'altro, e ciò ha dei significati che, in sostanza, si riconducono ai percorsi biografici di ciascuno, cioè ad un personalissimo affastellarsi di emozioni e di vissuti e di contatti, che peraltro son ciò da cui ognuno trae origine ed alimento in ogni determinato momento della vita. Ora, alla luce di quanto appena detto sulla radice biografica di tale tendenza all'altro, possiamo dire che si è portati a scegliere un percoso esistenziale di prossimità verso l'altro anche in quanto percorso che possa esser favorevole ed andare incontro a se stessi: per andare oltre la retorica, nell'aiutare l'altro ci si aiuta al contempo.
Ebbene, questa acquisizione comporta sicuramente effetti molto sani ed arricchenti; va detto, comunque, che alle sue spalle ha un processo che deve essere svolto e consapevolizzato con chiarezza e senza inutili lentezze. Infatti, nell'altro si possono trovare anche dei potenziali rischi o dei pericoli per noi stessi, ossia ci può essere l'oblio del sé, il finire per dimenticarsi di sé, da cui poi non può che conseguire la progressiva inefficacia del proprio rapporto con l'altro. In altre parole, è possibile che si arrivi ad una carenza, anche molto grave, di energie relazionali proprie, al cosiddetto "effetto bourn-out", il quale si caratteriza come una sorta di corto-circuito immateriale: nella grande fame di nutrire e di supportare l'altro, si finisce per scordare di nutrire e di alimentare il proprio stato energetico-cognitivo-emozionale.
Dopo di questo, possiamo entrare allora nel vivo domandandoci:
Chi è l'altro per me? Chi è l'altro in cui mi identifico emotivamente di più o di meno? e perchè mi accade tutto ciò?
Cerchiamo di iniziare subito con il prendere in discussione il tema molto amplio delle emozioni umane, le quali governano gran parte della nostra vita. Per fare un esempio molto generale, che traggo direttamente dal mio portato esperienziale, il mio lavoro a contatto diretto con persone portatrici di gravi dsabilità mi ha enormemente rieducato all'emotività, poichè loro stesse è come se vivessero nella condizione, per lo più, di un nervo scoperto nel mondo, con un'emotività fortissisma e molto presente, "a fior di pelle". Questo stato di vivacissima emotività, invece, tende generalmente ad essere abbastanza bloccato in condizioni cosiddette normali, per dare così priorità al ragionamento, per vivere soltanto "dalla testa in sù". Di fronte a ciò, mi piace spesse volte affermare che noi esseri umani siamo portatori sani di emozioni, le quali, peraltro, abbastanza unanimemente sono ritenute numericamente ridotte (da 6 a 8 tipi, a seconda delle correnti di pensiero ) ed ancor di più sono ritenute, da certe teorie moderne, assolutamente innate.
In breve, non sempre abbiamo bisogno della ragione per spiegare e comprendere, ma c'è il bisogno di accogliere le emozioni sorgenti e di contattarle e di riconoscerle: impariamo ad esplorare le nostre emozioni e quindi a contattare la propria potenzialità comunicativa! Piu o meno, infatti, parlando di come funziona in generale la comunicazione inter-soggettiva, molti studi hanno appurato che sostanzialmente il canale verbale (le parole, le frasi, le proposizioni che vengono adottate ecc...) copre soltanto il 30% del messaggio complessivo che giunge al destinatario, mentre il restante 70% viene coperto dai canali di comunicazione non-verbali, ossia dal tono della voce piuttosto che dalla gestualità piuttosto che dall'orientamento dello sguardo di chi comunica ecc...
Perché, dunque, bisogna educarsi alla comunicazione?
Possiamo dire che esistono molte attività, più o meno abituali, le quali si compiono in uno stato di pressoché nulla consapevolezza, così come accade, per esempio, quando saliamo le scale di casa senza sapere affatto quali muscoli, quali articolazioni ed ossa, sono implicate necessariamente in tale operazione. Ebbene, portarci al livello della matura consapevolezza, nel salire le scale come in tantissimi altri ambiti o contesti, può permetterci di rendere più efficace e più produttivo ciò che facciamo, può permetterci di avere a disposizione una serie più amplia di opzioni con cui diversificare la stesso medesimo tipo di operazione. Educarsi, quindi, a comunicare in maniera consapevole vuole far sì che ciò divenga uno strumento per se stessi e per l'altro, perché in questo modo possiamo educarci a capire cosa ci può accadere in un dato momento, le emozioni sorgenti che mi possono caratterizzare, il fatto che si può comunicare con forza ed intensità anche non verbalmente.
Essere consapevoli che si è portatori sani di un proprio senso che si cerca di rintracciare nel mondo e di trasmettere all'altro, che comunicare è “un fare” importantissimo, il quale attiva di necessità un mondo nell'altro; perciò, bisogna essere consapevoli delle parole utilizzate, del perché lo sto facendo per me stessa, della motivazione che alla radice mi muove verso l'altro.

domenica 6 novembre 2011

WEEK-END NAZIONALE Ra.Mi. - 4-6/11 Castello di San Gregorio / Assisi

"Se tutti vedessero..."



vedere il mondo con occhi diversi





Gesù guarisce un cieco dalla nascita
E passando vide un uomo ch’era cieco fin dalla nascita. E i suoi discepoli lo interrogarono, dicendo: Maestro, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco? Gesù rispose: Né lui peccò, né i suoi genitori; ma è così, affinché le opere di Dio siano manifestate in lui. Bisogna che io compia le opere di Colui che mi ha mandato, mentre è giorno; la notte viene in cui nessuno può operare. Mentre sono nel mondo, io sono la luce del mondo. Detto questo, sputò in terra, fece del fango con la saliva e ne spalmò gli occhi del cieco, e gli disse: Va’, làvati nella vasca di Siloe (che significa: mandato). Egli dunque andò e si lavò, e tornò che ci vedeva. Perciò i vicini e quelli che per l’innanzi l’avean veduto, perché era mendicante, dicevano: Non è egli quello che stava seduto a chieder l’elemosina? […] Da che mondo è mondo non s’è mai udito che uno abbia aperto gli occhi ad un cieco nato. Se quest’uomo non fosse da Dio, non potrebbe far nulla. Essi risposero e gli dissero: Tu sei tutto quanto nato nel peccato e insegni a noi? E lo cacciaron fuori. Gesù udì che l’avean cacciato fuori; e trovatolo gli disse: Credi tu nel Figliuol di Dio? Colui rispose: E chi è egli, Signore, perché io creda in lui? Gesù gli disse: Tu l’hai già veduto; e quei che parla teco, è lui. Ed egli disse: Signore, io credo. E gli si prostrò dinanzi. E Gesù disse: Io son venuto in questo mondo per fare un giudizio, affinché quelli che non vedono vedano, e quelli che vedono diventino ciechi. E quelli de’ Farisei che eran con lui udirono queste cose e gli dissero: Siamo ciechi anche noi? Gesù rispose loro: Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane. (Gv 9:1-41)



Il segreto della felicita'
*... Un mercante, una volta, mandò il figlio ad apprendere il segreto della felicità dal più saggio di tutti gli uomini. Il ragazzo vagò per quaranta giorni nel deserto, finché giunse a un meraviglioso castello in cima a una montagna. Là viveva il Saggio che il ragazzo cercava.
Invece di trovare un sant'uomo, però, il nostro eroe entrò in una sala dove regnava un'attività frenetica: mercanti che entravano e uscivano, ovunque gruppetti che parlavano, una orchestrina che suonava dolci melodie. E c'era una tavola imbandita con i più deliziosi piatti di quella regione del mondo. Il Saggio parlava con tutti, e il ragazzo dovette attendere due ore prima che arrivasse il suo turno per essere ricevuto.
Il Saggio ascoltò attentamente il motivo della visita, ma disse al ragazzo che in quel momento non aveva tempo per spiegargli il segreto della felicità. Gli suggerì di fare un giro per il palazzo e di tornare dopo due ore.
"Nel frattempo, voglio chiederti un favore", concluse il Saggio, consegnandogli un cucchiaino da tè su cui versò due gocce d'olio. "Mentre cammini, porta questo cucchiaino senza versare l'olio."
Il ragazzo cominciò a salire e scendere le scalinate del palazzo, sempre tenendo gli occhi fissi sul cucchiaino. In capo a due ore, ritornò al cospetto del Saggio.
Allora, gli domandò questi: "Hai visto gli arazzi della Persia che si trovano nella mia sala da pranzo? Hai visto i giardini che il Maestro dei Giardinieri ha impiegato dieci anni a creare? Hai notato le belle pergamene della mia biblioteca?" Il ragazzo, vergognandosi, confessò di non avere visto niente. La sua unica preoccupazione era stata quella di non versare le gocce d'olio che il Saggio gli aveva affidato.
"Ebbene, allora torna indietro e guarda le meraviglie del mio mondo", disse il Saggio. "Non puoi fidarti di un uomo se non conosci la sua casa."
Tranquillizzato, il ragazzo prese il cucchiaino e di nuovo si mise a passeggiare per il palazzo, questa volta osservando tutte le opere d'arte appese al soffitto e alle pareti. Notò i giardini, le montagne circostanti, la delicatezza dei fiori, la raffinatezza con cui ogni opera d'arte disposta al proprio posto. Di ritorno al cospetto del Saggio, riferì particolareggiatamente su tutto quello che aveva visto.
"Ma dove sono le due gocce d'olio che ti ho affidato?" domandò il Saggio.
Guardando il cucchiaino, il ragazzo si accorse di averle versate.
"Ebbene, questo è l'unico consiglio che ho da darti", concluse il più Saggio dei saggi.
"Il segreto della felicità consiste nel guardare tutte le meraviglie del mondo senza dimenticare le due gocce d'olio nel cucchiaino."* (tratto dall'Alchimista di P.Coelho)



Il Cantico delle Creature

Altissimu, onnipotente bon Signore,
Tue so' le laude, la gloria e l'honore et onne benedictione.
Ad Te solo, Altissimo, se konfano,
et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi' Signore cum tucte le Tue creature,
petialmente messor lo frate Sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de Te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si', mi Signore, per sora Luna e le stelle:
in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si', mi' Signore, per frate Vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale, a le Tue creature dài sustentamento.
Laudato si', mi' Signore, per sor Aqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si', mi Signore, per frate Focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre Terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.
Laudato si', mi Signore, per quelli che perdonano per lo Tuo amore
et sostengono infirmitate et tribulatione.
Beati quelli ke 'l sosterranno in pace,
ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si' mi Signore, per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente po' skappare:
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no 'l farrà male.
Laudate et benedicete mi Signore et rengratiate
e serviateli cum grande humilitate
.



L'UCCELLINO ROSSO GIALLO NERO BLU
"C'erano mattine in cui l'uccellino si svegliava e vedeva accanto a sé l'occhietto nero della mamma che lo guardava con ammirazione.
- Tu che sei
così coraggioso - gli sussurrava - esci per primo dal nido, e torna a dirci se c'è in giro il falco.
- Ma perché proprio io? - chiedeva l'uccellino. - Perché sei un uccellino senza paura - diceva la mamma. Allora lui si levava dal caldo del nido, gonfiava le piume e si gettava tra gli alberi per il bosco ancora silenzioso. Si sentiva così coraggioso, che nessun falco avrebbe osato puntarlo.
Ma altre mattine, appena svegliato, avvertiva su di sé l'occhio trepido della mamma. - Sei il mio bel pulcino - gli diceva coprendolo con un'ala - e hai ancora bisogno di dormire': sei il mio piccolo pulcino appena uscito dall'uovo. E subito l'uccellino si sentiva invaso da una sonnolenza da neonato, si stringeva alla mamma e non lasciava il nido. Poi c'erano mattine in cui la mamma lo guardava quasi con terrore: non gli parlava neppure direttamente. - Martin - sussurrava al papa dell'uccellino. - Dì, Martin, non ti fa paura? Tra tutti i nostri figli questo qui ha qualcosa... Guardalo, non pare anche a te? - Eh... - diceva il papa, dandogli un'occhiata perplessa. Allora l'uccellino si rizzava di scatto, e il suo becco, quasi senza ch'egli lo volesse, si abbatteva sui fratelli, facendoli strillare e cadere dall'albero.
Una grande rabbia gli rodeva il petto, un odio furibondo contro chiunque occupasse il nido.
Ma c'erano anche risvegli bellissimi, quando non isolo gli occhi della mamma, del papa, dei fratelli, erano fissi amorosamente su di lui, ma lo guardavano le formiche, i tassi, certo anche le aquile dai loro picchi, e tutti mormoravano: - Sembri un uccellino fatto di cielo.
E così si sentiva: buono, aereo, leggero, in pace con tutti. Si ravviava le piume, chinava la testa di lato, usciva dal bosco e andava a volare sui prati, dove c'era più sole.
Gli sembrava di non avere mai abbastanza luce.
L'uccellino faceva il bagno alla sera. Quando cominciava a fare buio, e la giornata era finita, andava a bagnarsi in riva a un fiume dalle acque scure per l'ora. Dal fitto d'erba, una colomba bianca lo guardava. Sempre tenera, tranquilla; non cambiava mai.
- Perché non fai il bagno anche tu? - le chiese una sera l'uccellino. - No - disse la colomba - di notte non sai mai di che colore sia l'acqua.
- Perché, cambia di colore? - A monte c'è una tintoria, lo sai, e un giorno l'acqua del fiume diventa rossa, un altro gialla, o nera, o blu. L'uccellino aveva un cervello piccolo piccolo, per lasciar posto agli occhi tondi e al becco largo, pure capì improvvisamente molte cose: certe mattine anche lui si svegliava tinto di rosso, altre di giallo, o di nero, o di azzurro, e così appariva agli occhi degli altri: rosso come il coraggio, giallo come un pulcino tenero, nero come un corvo cattivo, azzurro come un uccellino di cielo. E come lo vedevano gli altri, così si sentiva.
«D'ora in poi sarò sempre del mio colore» si ripropose.
Così, nelle mattine chiare, l'uccellino ora vola al fiume, ma in alto, sopra la tintoria, dove l'acqua è trasparente come l'acqua. Ne esce pulito, grigio, come tanti altri uccellini. E quando torna al nido la mamma gli dice: - Oh, ecco il mio caro uccellino grigio. E lui si sente sempre così, per sé e per tutti: un piccolo uccellino grigio.

CAPITOLO OTTAVO. Come andando per cammino santo Francesco e frate Leone, gli spuose quelle cose che sono perfetta letizia.
  Venendo una volta santo Francesco da Perugia a Santa Maria degli Angioli con frate Lione a tempo di verno, e 'l freddo grandissimo fortemente il crucciava, chiamò frate Lione il quale andava innanzi, e disse così: “Frate Lione, avvegnadioché li frati Minori in ogni terra dieno grande esempio di santità e di buona edificazione nientedimeno scrivi e nota diligentemente che non è quivi perfetta letizia”. E andando più oltre santo Francesco, il chiamò la seconda volta: “O frate Lione, benché il frate Minore allumini li ciechi e distenda gli attratti, iscacci le dimonia, renda l'udir alli sordi e l'andare alli zoppi, il parlare alli mutoli e, ch'è maggior cosa, risusciti li morti di quattro dì; iscrivi che non è in ciò perfetta letizia”. E andando un poco, santo Francesco grida forte: “O frate Lione, se 'l frate Minore sapesse tutte le lingue e tutte le scienze e tutte le scritture, sì che sapesse profetare e rivelare, non solamente le cose future, ma eziandio li segreti delle coscienze e delli uomini; iscrivi che non è in ciò perfetta letizia”. Andando un poco più oltre, santo Francesco chiamava ancora forte: “O frate Lione, pecorella di Dio, benché il frate Minore parli con lingua d'Agnolo, e sappia i corsi delle istelle e le virtù delle erbe, e fussongli rivelati tutti li tesori della terra, e conoscesse le virtù degli uccelli e de' pesci e di tutti gli animali e delle pietre e delle acque; iscrivi che non è in ciò perfetta letizia”. E andando ancora un pezzo, santo Francesco chiamò forte: “O frate Lione, benché 'l frate Minore sapesse sì bene predicare che convertisse tutti gl'infedeli alla fede di Cristo; iscrivi che non è ivi perfetta letizia”.
E durando questo modo di parlare bene di due miglia, frate Lione, con grande ammirazione il domandò e disse: “Padre, io ti priego dalla parte di Dio che tu mi dica dove è perfetta letizia”. E santo Francesco sì gli rispuose: “Quando noi saremo a santa Maria degli Agnoli, così bagnati per la piova e agghiacciati per lo freddo e infangati di loto e afflitti di fame, e picchieremo la porta dello luogo, e 'l portinaio verrà adirato e dirà: Chi siete voi? e noi diremo: Noi siamo due de' vostri frati; e colui dirà: Voi non dite vero, anzi siete due ribaldi ch'andate ingannando il mondo e rubando le limosine de' poveri; andate via; e non ci aprirà, e faracci stare di fuori alla neve e all'acqua, col freddo e colla fame infino alla notte; allora se noi tanta ingiuria e tanta crudeltà e tanti commiati sosterremo pazientemente sanza turbarcene e sanza mormorare di lui, e penseremo umilmente che quello portinaio veramente ci conosca, che Iddio il fa parlare contra a noi; o frate Lione, iscrivi che qui è perfetta letizia. E se anzi perseverassimo picchiando, ed egli uscirà fuori turbato, e come gaglioffi importuni ci caccerà con villanie e con gotate dicendo: Partitevi quinci, ladroncelli vilissimi, andate allo spedale, ché qui non mangerete voi, né albergherete; se noi questo sosterremo pazientemente e con allegrezza e con buono amore; o frate Lione, iscrivi che quivi è perfetta letizia. E se noi pur costretti dalla fame e dal freddo e dalla notte più picchieremo e chiameremo e pregheremo per l'amore di Dio con grande pianto che ci apra e mettaci pure dentro, e quelli più scandolezzato dirà: Costoro sono gaglioffi importuni, io li pagherò bene come son degni; e uscirà fuori con uno bastone nocchieruto, e piglieracci per lo cappuccio e gitteracci in terra e involgeracci nella neve e batteracci a nodo a nodo con quello bastone: se noi tutte queste cose sosterremo pazientemente e con allegrezza, pensando le pene di Cristo benedetto, le quali dobbiamo sostenere per suo amore; o frate Lione, iscrivi che qui e in questo è perfetta letizia. E però odi la conclusione, frate Lione. Sopra tutte le grazie e doni dello Spirito Santo, le quali Cristo concede agli amici suoi, si è di vincere se medesimo e volentieri per lo amore di Cristo sostenere pene, ingiurie e obbrobri e disagi; imperò che in tutti gli altri doni di Dio noi non ci possiamo gloriare, però che non sono nostri, ma di Dio, onde dice l'Apostolo: Che hai tu, che tu non abbi da Dio? e se tu l'hai avuto da lui perché te ne glorii come se tu l'avessi da te? Ma nella croce della tribolazione e dell'afflizione ci possiamo gloriare, però che dice l'Apostolo: Io non mi voglio gloriare se non nella croce del nostro Signore Gesù Cristo”.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen
SE TUTTI VEDESSERO
Ho visto, anche se non c'erano
viste a cui aggrapprarsi, ed
ho visto oltre la fortuna di
qualche attimo in cui sfogarsi.
Ho visto il bisogno, un pò inaspettato,
di non avere occhi accesi sul mondo,
per esser meno spenti di fronte all'altro e
più vicini alla luce nascosta dalle
abitudini del giorno.
Intanto, l'albero è cresciuto, mentre
uccellini venivano e vedevano, per
imparare a cantare come nessun altro nel cielo,
per cercare l'originalità di un proprio unico ramo.
Alla fine, non ho visto mai direttamente il
cammino dell'albero, non l'ho visto
distrattamente crescere, ma l'ho accompagnato con
altri occhi, e durante le notti, in cui credevo di non
aver nulla da vedere, la sua chioma mi ha
sempre sorpreso con un arcobaleno di raggi.
Alla fine, non ho visto mai la crescita
millimetrica dell'abero così come due palpebre
aperte posson fare, ma ho cercato di
coltivarlo e ci son cresciuto insieme.
 Alessio Ortica